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Santi del 2 Dicembre

Il mio Santo > I Santi di Dicembre

*Sant'Abacuc - Profeta (2 dicembre)
VII-VI secolo a.C.

È annoverato tra i profeti minori dell'Antico Testamento. Denominazione dovuta solo alla brevità dei suoi scritti, ma non all'importanza secondaria del suo messaggio.
Di Abacuc ignoriamo quasi tutto, ma alcune allusioni presenti nel libro biblico a lui attribuito, composto di solo tre capitoli, ci fa ipotizzare una sua collocazione cronologica all'epoca dell'avversario di Geremia, re Ioiakim, che succedette nel 609 a.C. al giusto e sfortunato re Giosia, ucciso in battaglia dal faraone Necao. Questo profeta si contraddistingue per il suo stile brillante e icastico.
Dal libretto di Abacuc occorre però scorporare il terzo ed ultimo capitolo: secondo gli studiosi esso contiene infatti un inno arcaico, forse composto ben prima, nel X secolo a. C.. Il personaggio Abacuc ricompare però nell'Antico Testamento in un racconto miracolistico e leggendario del libro di Daniele (14,3 1-42). (Avvenire)
Etimologia: Abacuc = amplesso ardente, dall'ebraico
Martirologio Romano: Commemorazione di Sant’Abacuc, profeta, che davanti all’iniquità e alla violenza degli uomini preannunciò il giudizio di Dio, ma anche la sua misericordia, proclamando: «Il giusto vivrà per la sua fede».  
Nei primi giorni del tempo d'Avvento, il 2 dicembre, il nuovo Martyrologium Romanum pone la “memoria di Sant'Abacuc profeta”, annoverato tra i profeti minori dell'Antico Testamento per la brevità dei suoi scritti, ma non per la secondarietà del suo messaggio, e dunque non meno importante al cospetto di Dio.
Di Abacuc ignoriamo purtroppo quasi tutto, persino il significato del suo nome, forse corrispondente a quello di una pianta acquatica o di un'ortensia. Alcune allusioni presenti nel piccolo libro biblico a lui attribuito, composto di solo tre capitoli, ci fa ipotizzare una sua collocazione cronologica all'epoca dell'avversario di Geremia, re Ioiakim, che succedette nel 609 a.C. al giusto e sfortunato re Giosia, ucciso in battaglia dal faraone Necao.
Questa fu un'epoca drammatica per il regno di Giuda, giunto quasi alla sua fine, mentre risuonava la voce del profeta Geremia. Il Signore sta infatti per inviare “i Caldei (cioè i Babilonesi), un popolo feroce e impetuoso […],
feroce e terribile”, desideroso di imporre “il suo diritto e la sua grandezza”, dotato di cavalli “più veloci dei leopardi e più agili dei lupi della sera” e di cavalieri che “volano come aquila che piomba per divorare, avanzano solo per la rapina..., ammassano i prigionieri come la sabbia” (Abacuc 1,6-9).
Questo profeta si contraddistingue per il suo stile brillante e icastico, tanto che un commentatore ha osato definire il suo libretto “uno dei più attraenti della Bibbia”, “per l'armoniosa bellezza di alcuni passi, perla nobiltà e la sincerità dell'accento”.
Il passo che però a reso popolare Aggeo presso il cristianesimo si compone in ebraico di sole tre parole: saddfq be'emunatòjihjeh, cioè “il giusto vivrà per la sua fede” (2,4). Il senso inteso dal profeta è assai semplice: chi confida in Dio restandogli fedele, salverà la propria vita, mentre invece “soccomberà chi non ha l'animo retto”. L'apostolo Paolo assunse poi questa frase a sintesi della Lettera ai Romani, base della sua teologia circa la giustificazione attraverso la fede: “Colui che è giusto (giustificato) per la fede, costui vivrà»(1, 17).
Dal libretto di Abacuc, seppur breve, occorre però scorporare il terzo ed ultimo capitolo: secondo gli studiosi esso contiene infatti un inno arcaico, forse composto ben prima, nel X secolo a.C..
Questo potente testo mette in scena una terribile epifania divina volta a sconvolgere l'universo. Il Signore irrompe nella scena scavalcando monti e seminando panico, preceduto da una terrificante avanguardia, la Peste personificata, e seguito da una retroguardia alquanto paurosa, la Febbre ardente. Nulla si può opporre al divino Arciere intento a scagliare lampi come frecce.
Su questo devastato orizzonte spunta però fortunatamente un'aurora di speranza e di gioia: “il Signore Dio è la mia forza, egli rende i miei piedi come quelli delle cerve e sulle alture mi fa camminare” (3,19).
Il personaggio Abacuc ricompare però nell'Antico Testamento in un racconto miracolistico e leggendario del libro di Daniele (14,3 1-42).  Avendo preparato un giorno una minestra e portandola in campagna ai mietitori, un angelo “lo afferrò per i capelli e con la velocità del vento lo trasferì in Babilonia e lo posò sull'orlo della fossa dei leoni” ove era confinato Daniele. “Gridò Abacuc: Daniele, Daniele, prendi il cibo che Dio ti ha mandato!”. Daniele si sfamò, “mentre l'angelo di Dio riportava subito Abacuc” in Giudea, sempre miracolosamente per via aerea. Questa leggenda non può però che costituire una bizzarra forma di solidarietà tra profeti.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Sant'Abacuc, pregate per noi.

*Sant'Aurelia di Alessandria - Martire, Venerata a Montanaro (2 dicembre)

III secolo
Sant’Aurelia nacque in Alessandria d’Egitto negli anni 40 del terzo secolo e fu martire sotto Valeriano, assieme a numerosi esponenti della sua famiglia: i quattro cugini Adria, Paolina, Neone e Maria, la madre Martana e una zia.
Del padre di lei la storia non parla e di lui ci è taciuto anche il nome, forse perché perso in tenera età, ma del resto i primi anni della sua stessa vita ci sono quasi totalmente ignoti e sappiamo solo che fu la madre l’ unica sua educatrice alla virtù e alla religione cristiana.
Giunse però a madre e figlia in Alessandria la notizia che i cugini Adria e Paolina, coi loro figli, avevano in Roma subito il martirio e immediatamente le due donne, sistemati i loro affari in Alessandria, si misero in viaggio verso la capitale dell’ Impero, spinte dal desiderio di onorare quei gloriosi campioni della fede e di stabilire la loro dimora presso i loro sepolcri, nelle catacombe di san Sebastiano.
Tra i frequentatori di queste catacombe vi era un giovane romano, ancora pagano, di nome Clodio Dionisio, di nobile stirpe, che annoverava tra i suoi congiunti cavalieri e senatori. Affascinato dalla bellezza e dalla virtù di Aurelia, stimandosi felice di averla per compagna della sua vita, la chiese in sposa. Le trattative tra la madre di lei Martana – al cui saggio consiglio Aurelia si era rimessa- e i genitori di Clodio Dionisio furono, in pochi giorni concluse, e Aurelia ricevette dalle mani di Dio quel giovane che il Signore le destinava a sposo.
Dai documenti storici pervenutici, ai quali dà irrefragabile conferma l’ esame medico dei suoi resti mortali, possiamo asserire che Aurelia non aveva più di sedici anni quando andò in sposa a Clodio
Dionisio e diede, pochi mesi dopo il suo matrimonio, il sangue e la vita per amore di Gesù Cristo.
Il marito Clodio era ancora pagano quando contrasse in suo matrimonio, ma non potè a lungo desistere alle attrattive della santità della sua consorte e, poco dopo il suo matrimonio, ricevette il battesimo e si fece pure lui cristiano.
Forse per invidia di qualche rivale di Clodio, forse per cupidigia di qualche suo parente, che avrebbe beneficiato dei beni di quella nobile famiglia, qualora fosse stata spenta, allo spirare dell’ impero di Valeriano (che cadde prigioniero di Sàpore I re di Persia), e prima che il figlio di lui Gallieno ponesse fine alla persecuzione contro i cristiani, Aurelia, assieme alla madre e a una zia, fu accusata di professare il credo cristiano.
Fu dunque tradotta in tribunale, di fronte al giudice Secondiano, il quale non lesinò promesse di onori e di agiatezze, purché bruciasse l’ incenso agli idoli, ma tutto fu vano e Aurelia perseverò nella sua fedeltà a Cristo, venendo quindi condannata a morte per decapitazione. Dovette anche assistere a un supplizio ancora peggiore: veder decapitare, il giorno precedente alla sua esecuzione, la madre e la zia. Il giorno seguente, 2 dicembre del 260, Aurelia fu tratta dal carcere e, condotta là ove giacevano, stesi al suolo, i corpi decollati della madre e della zia, e con un colpo di spada le fu spiccato il capo dal busto.
Clodio Dionisio, ottenuto a peso d’ oro d’ avere il sacro corpo della martire sua sposa, lo ripose in una bella tomba di marmo bianco, nel Cimitero di Priscilla, con accanto un’ ampolla piena del sangue di Aurelia, come usavasi, in segno del sofferto martirio. E questa tomba fu, finchè visse, oggetto delle sue cure più assidue e meta dei suoi quotidiani pellegrinaggi. Ma temendo che, a causa del trascorrere degli anni, venisse a smarrirsi la memoria di quel prezioso sarcofago, o che il corpo avesse in seguito a confondersi con altri corpi di martiri, coprì il caro avello con una lapide pure di marmo, incidendovi sopra a graffito, come usavasi nelle iscrizioni catacombali, le seguenti parole: Clodius Dionysius Aureliae Alexandriae coniugi benemerenti fecit (Clodio Dionisio pose ad Aurelia d’ Alessandria sua benemerita consorte).
Dopo 1500 anni , il Cardinale Vittorio Amedeo delle Lanze, abate commendatario dell’ abbazia di Fruttaria in San Benigno Canavese, assai influente a Roma, ottenne il permesso dal pontefice Clemente XIII di raccogliere, il 13 novembre 1758, il corpo della santa assieme ai frammenti del vaso del sangue e alla pietra sepolcrale, destinandola alla sua cappella privata.
Con la consacrazione della chiesa parrocchiale di Montanaro, terra dipendente materialmente e spiritualmente dall’ abbazia, avvenuta nel 1765, il corpo della santa fu donato alla suddetta comunità e traslato nella nuova chiesa, ove si trova tutt’ ora.
(Autore: Don Giuseppe Ponchia – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

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*Sant'Avvakum - Sacerdote e Martire (2 dicembre)

1620 – 1682
É senz'altro il più celebre e venerato Santo della Chiesa dei Vecchi Credenti russi, all'origine della separazione dal Patriarcato di Mosca, e un illustre scrittore. Nacque nella famiglia di un sacerdote di Grigorovo, nel circondario Zakudemskij del distretto di Niznij Novgorod (ora distretto di Bol'semuraskinskij nella regione di Niznij Novgorod).
Il padre, Pétr, aveva il vizio del bere; la madre, Maria (che in seguito seguirà la via monastica col nome di Marta), si distingueva per la devozione e la pietà e allevò il figlio nel umor di Dio.
Un giorno che si trovò ad assistere alla fine di una bestia nel cortile di un vicino, Avvakum capì l'irreversibilità della morte e decise di alzarsi ogni notte per pregare. Allorché la madre decise di fargli prendere moglie, sapplicò a lungo la Madre di Dio di dargli una compagna di vita che lo aiutasse a tendere alla salvezza.
Così nel 1638, a 17 anni, sposò la figlia quattordicen­ne del fabbro locale, Anastasia Markovna, appena
rimasta orfana e che fu per lui una fedele compagna e un'amica in tutte le sue imprese e in ogni sua vicenda, fino all'ultimo esilio di Pustozersk. A 21 anni fu ordinato diacono e due anni più tardi (nel 1644) sacerdo­te a Lopatisci.
Fin dall'inizio del suo ministero, Avvakum rivelò le qualità che lo avrebbero contraddistinto per tutta la vita: lo zelo nell'adempimento delle norme canoniche, la sexmezza nel sostenere la verità, una forza spirituale sorprendente e una volontà inesauribile. Difese con coraggio una fanciulla rapita alla madre vedova da un uomo potente, sopportando per questo le percosse e Rampando alla morte per miracolo: per due volte la pistola di quell'uomo, che voleva ucciderlo sparandogli, si inceppò. Per zelo religioso, Avvakum era solito fare a pezzi le cetre e i giochi di maghi e saltimbanchi, scacciare gli orsi danzanti; una volta fu gettato nel Volga da una barca su ordine di un boiaro, per aver rifiutato di benedire il figlio di questi che si radeva la barba secondo l'uso occidentale, contro la tradizione ortodossa.
Per la sua predicazione radicale dell'ascetismo e della devozione, e per aver rimproverato a uno dei capi del villaggio di essere un mentitore, Avvakum fu malmenato e scacciato dal paese. Si rifugiò allora a Mosca, dove ebbe potenti protettori, quali Ivan Neronov e Stefan Vonifat'ev, confessore dello zar, presso la cui corte introdusse Avvakum. Poco tempo dopo, questi ritornò a Lopatisci con un decreto dello zar, ma fu nuovamente scacciato nel 1648 per il suo zelo e la sua pietà.
In quel tempo Avvakum fu in rapporto con l'ambiente influente dei Bogoljubcy («amanti di Dio»), animato dal Neronov, i quali intendevano riformare la vita ecclesiastica russa, dittondere la predicazione, ordinare il culto e approfondire la pietà e la religiosità del popolo; il movimento era inviso alle autorità e al clero, che non condividevano tale fervore.
Nel 1652, Avvakum viene nominato protopope (arciprete) della città di Jur'evec. Qui, dopo soli due mesi, per aver imposto il canto liturgico a una sola voce (il che rendeva il rito molto più lungo), si rese talmente inviso al popolo e al clero locale che un giorno fu trascinato fuori della chiesa e percosso in maniera talmente brutale da esser costretto a nascondersi, abbandonando momentaneamente la famiglia. Ritornò a Mosca e vi fece ritornare anche i suoi; in città, celebrava nella chiesa della Madre di Dio di Kazan', sulla Piazza Rossa.
A causa delle dure critiche da lui mosse alle innovazioni liturgiche stabilite dal patriarca Nikon (febbraio 1653), Avvakum fu arrestato durante la celebrazione della veglia notturna, e per un mese fu rinchiuso nel monastero di Andronico di Mosca, incatenato in una cella buia. Trascorsi tre giorni senza pane né acqua, gli apparve un angelo (o un uomo) che dopo avergli dato da mangiare sparì immediatamente senza aprire le porte. Dopo un mese fu esiliato con la famiglia a Tobol'sk, in Siberia; non fu ridotto allo stato laicale solo grazie all'interessamento dello zar Aleksej Michajlovic, che nutriva nei confronti di Avvakum un sentimento di riverente stima.
Nel 1656, da Tobol'sk fu mandato assieme alla famiglia in Dauria, con la spedizione del voivoda Paskov. Avvakum perse in questa circostanza due figli e patì insieme con i suoi ogni sorta di privazioni e di difficoltà: il freddo, la fame, gli attacchi degli indigeni, e la crudeltà dello stesso dispotico voivoda il quale, tuttavia, finì per convertirsi, fece penitenza, e, per volontà di Avvakum, tornato a Mosca, si fece monaco e morì in pace con Dio.
Grazie all'intervento di amici influenti, nel 1661 Avvakum ottenne il permesso di ritornare a Mosca. Il viaggio di ritorno durò circa tre anni durante i quali egli predicò con grande energia contro le innovazioni del patriarca Nikon.
Giunto nella capitale nel 1664, riaffermò la propria posizione di rifiuto delle riforme, non accettò alcun compromesso; per questa ragione venne rispedito in esilio nella regione del Mezen', da dove ritornerà solo per il concilio del 1666, che lancerà l'anatema definitivo contro il vecchio rito. Rifiutate le decisioni del concilio, il 13 maggio dello stesso anno Avvakum fu scomunicato; per tutta risposta egli maledisse il concilio e fu l'unico dei confessori della Vecchia fede a rimanere fedele sino alla fine, rifiutando di fare penitenza (fecero invece penitenza anche i capi della Vecchia fede, il diacono Teodoro, Niceta Dobrynin e Neronov, mentre il sacerdote martire Lazzaro fu giudicato dal concilio più tardi).
A partire dal 1667, Avvakum fu imprigionato assieme ai suoi compagni, il diacono Teodoro, il monaco Epifanio e il sacerdote Lazzaro, nel carcere di Pustozersk, dove scrisse più di 40 opere, tra le quali la celebre Vita. Da Pustozersk, assieme ai compagni potè dirigere la vita delle comunità dei Vecchi credenti.
Col pretesto di aver calunniato la casa reale (ma di fatto per la loro predicazione della verità e la difesa delle antiche tradizioni e dei princìpi dell'ortodossia), Avvakum e i suoi tre compagni, Teodoro, Lazzaro ed Epifanio, furono condannati e arsi sul rogo il Venerdì Santo dell'anno 1682. La tradizione dei Vecchi Credenti sostiene che Avvakum prima di morire abbia sollevato la mano destra con le due dita congiunte per il segno della croce alla maniera antica bizantina, e abbia gridato dal rogo, a coloro che assistevano alla pena, che avrebbero evitato la morte eterna solo se si sarebbero segnandosi in quel modo.
La figura di Avvakum è di importanza capitale nella storia della spiritualità russa come esempio di santità russa medievale. Egli è un caratteristico zelante difensore della fede dell'antica Moscovia, del tipo di Giuseppe di Volokolamsk, l'ultimo rappresentante del clero russo antico anteriore allo scisma. Avvakum credeva fermamente nell'unicità della missione spirituale del popolo russo e lottava accanitamente contro tutto ciò che era estraneo e laico.
Seguendo l'esempio di Massimo il Greco, sostenne la superiorità della saggezza spirituale nei confronti della filosofia laica. La semplicità e la pietà del popolo russo erano per lui infinitamente più importanti del pensiero greco, sia pure teologico. Nella sua polemica con gli innovatori si basava sulla considerazione che se tutti i santi russi precedenti avevano osservato i riti antichi e si erano salvati, le loro stesse persone costituivano sacri e immutabili dogmi di fede. D'accordo con i contemporanei Bogoljubcy, sosteneva l'idea di «Mosca, terza Roma», ultimo regno ortodosso del mondo.
Per la sua psicologia e la forza della sua personalità, Avvakum è stato spesso paragonato ai grandi riformatori occidentali, come Calvino e soprattutto Lutero. Egli era ben cosciente della propria vocazione e del proprio ca­risma, che si manifestava nella forza della predicazione, nella gran quantità di miracoli, visioni e guarigioni, e nell'indiscussa autorità morale presso i numerosissimi figli spirituali. Amava citare l'espressione di Giovanni Crisostomo secondo la quale il potere del sacerdote è superiore a quello del re. Nella supplica allo zar scrive: «Tu, nella tua libertà, sei padrone solamente della ter­ra russa; a me il Figlio di Dio, nella mia prigionia, ha sottomesso il cielo e la terra».
In quanto ideologo e ispiratore della Chiesa dei Vecchi Credenti, Avvakum rappresenta la corrente moderata, ovvero (secondo l'espressione di San Zen'kovskij) conservatrice, detta popovscina. Diversamente dal suo compagno, il diacono Teodoro, Avvakum non vedeva, nell'allontanamento dei vescovi russi dalle tradizioni degli antichi, un segno dell'avvento dell'Anticristo, né tantomeno la venuta dell'Anticristo spirituale, significante la definitiva vittoria delle forze del male e la fine della grazia; egli può, al contrario, essere visto come precursore e fondatore dell'ala ottimistica dei Vecchi Credenti.
Avvakum giunse a sostenere la legittimità dell'accettazione di nuovi sacerdoti per il servizio alle comunità dei Vecchi Credenti, a condizione che questi seguissero i canoni antichi e ripudiassero le innovazioni: tale posizione fa di lui l'iniziatore della corrente dei popovcy. Avvakum non credette mai che il fatto che lo Stato russo avesse perso l'ortodossia significasse la fine della Chiesa sulla terra; anzi, credette e sperò sino alla fine nel ritorno della Chiesa russa alle tradizioni dei padri.
Interessante è il fatto che Avvakum abbia ritenuto lecita e sostenuto la pratica dell'autoimmolazione col fuoco, anche con citazioni ed esempi tratti da Vite di santi antichi che in tal modo erano sfuggiti alle mani dei persecutori.
Fino alla metà del XIX secolo le opere di Avvakum esistevano solo in codici appartenenti ai Vecchi Credenti e non erano considerate dal punto di vista del loro valore letterario. La Vita di Avvakum scritta da lui stesso, i suoi insegnamenti, le suppliche e le lettere sono redarti in una lingua viva, brillante ed espressiva. Oggi Avvakum è considerato il primo scrittore russo antico ad aver inserito nella lingua letteraria elementi del linguaggio popolare, con grande effetto e successo. Le sue opere avrebbero potuto determinare lo sviluppo successivo delle lettere russe, se all'epoca non fosse stata così forte l'influenza dei modelli della letteratura occidentale polaccolatina.
Il genio letterario di Avvakum fu ammirato dai più grandi scrittori russi, quali: Turgenev, Dostoevskij Tolstoj, Leskov; su Avvakum sono state composte molte opere in prosa e in versi, sono stati condotti molti studi critici. Il più grande specialista delle opere di Avvakum, V.L. Malysev, ha curato un'interessante antologia di valutazioni di scrittori russi sui suoi lavori.
Formalmente la canonizzazione di Avvakum è avvenuta» assieme a quella della maggioranza degli altri più insigni martiri della Vecchia fede del XVII secolo, durante il concilio della gerarchia di Belaja Krinica del 1916, benché la questione della sua canonizzazione esistesse da molto tempo prima. La venerazione del santo, comune a tutte le diverse comunità dei Vecchi Credenti, cominciò a svilupparsi subito dopo il suo martirio.
L'ufficio di Avvakum più conosciuto (kanon) è stato composto con grande probabilità dal vescovo Innocenzo (Usov); le numerose icone del santo cominciarono a essere dipinte a partire dal XVIII secolo. Avvakum ha due memorie liturgiche: il 14 aprile, assieme agli altri martiri di Pustozersk, e il 2 dicembre.
(Autore: Dmitrij Kanaev – Fonte: Bibliotheca Sanctorum Orientalium)

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*Beato Berengario Cantull - Mercedario (2 dicembre)
+ 2 dicembre 1343
Prinipe di Montpellier in Francia, il Beato Berengario Cantilli, studiò a Parigi dove riuscì molto bene.
Entrò in seguito nell'Ordine Mercedario a Barcellona in Spagna e qui arrivò ad un alta perfezione per il suo bello spirito, la mansuetudine, la prudenza e lo zelo.

Eletto Maestro Generale il 27 gennaio 1331, il suo primo desiderio fu quello di visitare tutti i conventi ed occuparsi della redenzione degli schiavi.
Trasferì onorevolmente i resti mortali di San Raimondo Albert, da Valenza a El Puig.
Eletto vescovo, prima di essere consacrato raggiunse la pace del Signore il 2 dicembre 1343, il suo corpo fu sepolto presso l'aitar maggiore nella chiesa del convento di Sant'Eulalia in Barcellona.
L'Ordine lo festeggia il 2 dicembre.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

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*Santa Bianca di Castiglia - Regina di Francia, Religiosa (2 dicembre)
Palencia, 1188 - Parigi, 26 o 27 novembre 1252
Etimologia: Bianca = riferito al colore della carnagione (italiano)
Figlia di Alfonso IX, re di Castiglia, e di Eleonora d'Inghilterra, Bianca nacque a Palencia agli inizi del 1188.

A soli undici anni, fu promessa sposa a Luigi, delfino di Francia, dallo zio Giovanni Senzaterra che intendeva riconciliarsi con il re Filippo Augusto.
Il matrimonio dei due giovanissimi principi fu celebrato il 23 maggio 1200 a Portmort, in Normandia, e Bianca, educata cristianamente, allevò con gli stessi sentimenti religiosi i suoi numerosi figli, tra cui Luigi, che sarebbe succeduto al padre sul trono di Francia e che avrebbe ricevuto l'aureola dei Santi.
Dai Plantageneti suoi avi materni, Bianca ereditò l'eccezionale forza di animo e il senso politico che ben presto dimostrò collaborando alle imprese del marito, da lei incoraggiato nella sua lotta per l'eliminazione degli inglesi dal Poitou.
Divenuta regina di Francia nel 1223, rimase vedova appena tre anni dopo e, assunta la reggenza in nome del figlio minorenne Luigi IX, si trovò subito ad affrontare una coalizione dei grandi feudatari che, sotto la guida di Pierre Mauclerc, duca di Bretagna, miravano a rendersi indipendenti dal potere regio o, quanto meno, cercavano di ottenere una maggiore influenza politica, mal tollerando la reggenza di una straniera.
Con accorte manovre, Bianca seppe aver ragione di questa e di altre successive coalizioni, riuscendo anche a debellare Raimondo VII, conte di Tolosa, e ad estendere in Linguadoca l'autorità regia, che fu effettivamente esercitata dopo il matrimonio del figlio Alfonso di Poitiers con Giovanna di Tolosa.
Un valido aiuto nelle sue lotte Bianca lo ebbe dal cardinale Romano Frangipane, legato pontificio, presente in Francia già ai tempi di Luigi VIII, che aveva saputo conservare un certo ascendente anche sulla regina.
Giunto il figlio alla maggiore età nel 1234, Bianca continuò ancora per una decina d'anni ad occuparsi degli affari di stato al fianco di Luigi IX, fronteggiando nuove sollevazioni, specie quella di Ugo di Lusignano, conte delle Marche.
In seguito alla partenza del re per la crociata del 1243, Bianca dovette assumere nuovamente la reggenza e tornare ad occuparsi dell'amministrazione del regno, abbandonata già da qualche anno; durante questa seconda reggenza, non meno travagliata della precedente, preparò l'annessione della Linguadoca alla corona francese e represse energicamente la rivolta dei contadini scoppiata nel 1251.
Sofferente di cuore, Bianca morì a Parigi il 26 o 27 novembre 1252, mentre Luigi IX era ancora in Oriente.
Il suo corpo riposa nell'abbazia di Maubuisson, da lei fondata nel 1242 e dove ella stessa aveva preso l'abito cistercense qualche anno prima della morte; il suo cuore, invece, si conserva nell'abbazia di Lys, nei pressi di Melun, dove fu portato il 13 marzo 1253.
Bianca è universalmente venerata come Santa, benché non sia mai stata canonizzata, e la sua festa si celebra il 2 dicembre.
(Autore: Nicolò Del Re – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Santa Bibiana (Viviana) - Martire (2 dicembre)

sec. IV
Non abbiamo notizie precise riguardo la vita di questa santa, alla quale Papa Simplicio, nel V secolo, dedicò una chiesa sull'Esquilino.
Eppure il culto di Bibiana è stato assai vivace, forse anche grazie al suo nome, che ha la stessa origine del nome di Viviana: un nome, nell'etimologia popolare, legato al verbo «vivere», e quindi sinonimo di vitalità, vivacità, e augurio di spirituale sopravvivenza.
Secondo la «Passio Bibianae», questa santa sarebbe una delle vittime della persecuzione anticristiana dell'imperatore Giuliano l'Apostata (361 - 363), un devoto pagano che ostacolò la fede cristiana nonostante la libertà di culto proclamata grazie a Costantino nel 313.
Secondo questa Passio, priva di valore storico, il governatore Apronio avrebbe mandato a morte i coniugi Fausto e Dafrosa, per impadronirsi dei loro beni.
Poi volle costringere all'apostasia le loro figlie: Demetria e Bibiana.
La prima sarebbe morta sotto tortura, mentre Bibiana, salda nella propria fede, dopo aver subito ogni tipo di angheria fu legata alla colonna e flagellata a morte.
La chiesa sull'Esquilino sorgerebbe sulla tomba della martire. (Avvenire)
Etimologia: Bibiana (forse) variante di Viviana = che ha vita, che è vitale, dal latino
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Roma, Santa Viviana, martire, sotto il cui nome il Papa San Simplicio intitolò una basilica sul colle Esquilino.
Papa Simplicio, nel V secolo, le dedicò la chiesa sull'Esquilino.
Il culto di questa Santa è stato assai vivace, forse anche grazie al suo bel nome, più diffuso di quanto non si pensi.
Bibiana ha infatti la stessa origine del nome di Viviana, e perciò la Santa di oggi può essere presa come Patrona anche dalle donne che ripetono il nome di Viviana: un nome, nella etimologia popolare,
legato al verbo " vivere ", e quindi sinonimo dì vitalità, vivacità, e augurio di spirituale sopravvivenza.
In assenza di notizie storiche, sul conto di Santa Bibiana, o Viviana, è stata tessuta una fantasiosa e complessa leggenda, che deve essere piaciuta moltissimo ai fedeli, contribuendo così alla popolarità della Santa.
Secondo tale leggenda, Bibiana sarebbe stata vittima della tardiva persecuzione di Giuliano, l'Imperatore apostata, che rinnegò cioè la propria fede, e poiché l'Imperatore risiedeva in Oriente sarebbe stato il Governatore di Roma, Aproniano, a infierire non soltanto contro Bibiana, ma contro la famiglia cristiana della Santa: il padre Flaviano, la madre Defrosa e la sorella Demetra.
Ma come mai il Governatore di Roma avrebbe nutrito tanto odio verso i battezzati? La leggenda lo spiega dicendo che Aproniano aveva perduto un occhio, e attribuiva la sua infermità, non ad un incidente, ma alle arti maligne dei cristiani.
A buon conto, esiliato Flaviano e fatta morire in carcere Dafrosa, l'orbo persecutore poté impadronirsi dei beni della famiglia.
Per completar la sua opera, non gli mancava che costringere all'apostasia le due giovani figlie, e ciò sembrava assai facile, data appunto la loro età.
Demetra infatti, minacciata di orribili tormenti, morì in carcere, sopraffatta dall'ansia.
Restò Bibiana, e contro di lei furono inutili tutte le minacce del dolore fisico. Il Governatore allora mutò strategia. Pensò di piegare la volontà della fanciulla, corrompendola con le seduzioni del piacere e gli allettamenti del vizio.
Per far ciò consegnò Bibiana a una turpe mezzana, esperta di intrighi amorosi.
Naturalmente Bibiana non venne meno ai doveri della virtù, e Aproniano, deluso nelle sue speranze, non seppe far di meglio che flagellarla ferocemente, tanto da condurla alla morte, quattro giorni dopo.
Leggenda, abbiamo detto: pura leggenda, che nessun indizio rende né plausibile né probabile.
Immaginata per conferire titoli di gloria, insieme con la palma del martirio, all'ignota benefattrice cristiana, titolare della chiesa sull'Esquilino.
(Fonte: Archivio della Parrocchia)
Giaculatoria - Santa Bibiana, pregate per noi.

*San Cromazio d'Aquileia - Vescovo (2 dicembre)

Aquileia, Udine, 335/340 - 407/408
Cromazio fu vescovo di Aquileia dal 387/388 al 407/408, succedendo a Valeriano. È autore di un Commento al Vangelo di Matteo, rimasto probabilmente incompiuto e di numerosi Sermoni che sono un’importantissima testimonianza della fede e della vitalità dell’antica Chiesa aquileiese.
Come esponente dell’ortodossia fu tra i promotori della sconfitta ariana: partecipò come presbitero al Concilio del 381 ; fu animatore di un fervente cenacolo presbiterale al quale attinsero numerosi uomini di fede e di cultura, tra cui San Girolamo e Rufino.
È il più documentato e valido esempio di vita cristiana e di impegno pastorale che ci giunge dall’antica Aquileia. Del suo zelo pastorale, della sua ardente carità e fermezza abbiamo testimonianza da S. Girolamo e S. Giovanni Crisostomo.
Condivise fino alla morte le travagliate vicende del suo popolo a cause delle invasioni barbariche. Il suo culto ha ricevuto in questi decenni notevole impulso in seguito alla riscoperta e ampia trattazione dei suoi scritti, rimasti per secoli quasi del tutto sconosciuti.
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Ad Aquileia in Friuli, San Cromazio, vescovo, che, da vero costruttore di pace, pose rimedio alla condizione dei chiostri d’Italia distrutti da Alarico e alle sofferenze del popolo e, da sapiente interprete dei misteri del Verbo divino, elevò le menti alle più alte realtà.
Non l’ha canonizzato nessuno, che si sappia. Però il Martirologio romano lo ricorda come santo e «vero artefice di pace, pronto a elevare le menti verso le cose più amate», anche in mezzo alle rovine e ai lutti che colpivano il territorio friulano e la città.
Aquileia, già colonia romana nel II secolo a.C. e sede di guarnigioni militari, è stata poi fortificata tra il 161 e il180 dall’imperatore Marco Aurelio, che ne ha fatto un bastione contro le invasioni dall’Est. Secondo una tradizione, il cristianesimo vi sarebbe stato diffuso da San Marco evangelista. La cronologia dei vescovi è lacunosa nei primi tempi, e sicura dal285 in avanti.
Cromazio nasce in una famiglia benestante. Sappiamo infatti che in casa sua (dove ci sono il fratello Eusebio e tre sorelle) s’incontrano sacerdoti e laici animati da lui: una sorta di gruppo ascetico culturale che verso il 370 accoglie anche un funzionario imperiale dimissionario: un dalmata Girolamo.
Questi arriva da Treviri, in Germania (sede stagionale degli imperatori), dove ha rinunciato alla sua carica. E in casa di Cromazio, tra letture, preghiere e discussioni, si prepara al cammino che lo condurrà in Oriente, e all’opera gigantesca di tradurre le Scritture in latino.
Il vescovo Valeriano di Aquileia ha ordinato sacerdote Cromazio, e si serve di lui per la difesa della dottrina cattolica contro l’arianesimo, che in Alta Italia ha ancora sostenitori, anche tra i vescovi. Proprio per giungere a un chiarimento generale in materia di dottrina, nel 381 si riunisce ad Aquileia un Concilio regionale; e Cromazio è uno dei più autorevoli ispiratori delle sue conclusioni.
Morto poi Valeriano, è lui a succedergli come vescovo di Aquileia, e riceve la consacrazione episcopale da Sant’Ambrogio di Milano.
Dall’Oriente, Girolamo lo definirà il vescovo «più santo e più dotto» del suo tempo. E sicuramente egli è pure uno dei più generosi verso il traduttore della Bibbia: gli manda lettere di incoraggiamento e anche aiuti in denaro; e Girolamori cambia dedicandogli alcune delle sue versioni bibliche.
Ma nell’Impero, governato da due imperatori“ colleghi” e spesso rivali a morte, per due volte in pochi anni la guerra arriva addosso al Friuli. Due battaglie edue vittorie di Teodosio (luglio 387 e settembre394), con l’immediata uccisione dei rivali sconfitti e le solite devastazioni e rapine della truppa.
Così Teodosio rimane imperatore unico, ma alla sua morte riecco un imperatore in Italia (Ravenna)e uno a Costantinopoli: Onorio e Arcadio, figli di Teodosio.
Nel 404, un avvenimento lontano sottolinea il prestigio di Aquileia e del suo vescovo. Il patriarca di Costantinopoli, Giovanni Crisostomo, è stato condannato un’altra volta all’esilio, e chiede aiuto a tre persone: Papa Innocenzo I, Ambrogio di Milano e Cromazio di Aquileia. Il quale interviene presso Onorio, ma invano. Il patriarca morirà in esilio.
Le delusioni non fermano la sua operosità di promotore di cultura cristiana. Tra un’invasione e l’altra (anche i Visigoti, ora) aiuta e incoraggia studiosi; e uno se lo prende in casa, Rufino di Aquileia, per fargli continuare la Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea.
E quando Rufino e Girolamo polemizzano tra loro, fa di tutto per riconciliarli e riportarli allo scrittoio. Anche lui, Cromazio, studia e scrive: conosciamo una raccolta di suoi sermoni e un commento parziale al Vangelo di Matteo.
(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Cromazio d'Aquileia, pregate per noi.

*Beato Giovanni (Ivan) Slezyuk - Vescovo e Martire (2 dicembre)

Scheda del Gruppo a cui appartiene:
“Beati 25 Martiri Greco-Cattolici Ucraini” - Senza Data (Celebrazioni singole)

Zhyvachiv, Ucraina, 14 gennaio 1896 - Stanislaviv (odierna Ivano-Frankivsk), Ucraina, 2 dicembre 1973
Martirologio Romano: A Ivano-Frankivsk in Ucraina, Beato Giovanni Slezyuk, vescovo e martire, al quale il Signore diede la palma della vita eterna per avere svolto instancabilmente in clandestinità sotto un regime ateo il suo ministero tra i fedeli di Rito bizantino e aver mantenuto con coraggio davanti ai persecutori ferma la sua fede in Cristo.
Ivan Slezyuk nacque il 14 gennaio 1896 presso il villaggio di Zhyvachiv, nella regione ucraina di Stanislaviv, oggi chiamata Ivano-Frankivsk. Nel 1923 ricevette l’ordinazione presbiterale in rito bizantino e nel 1945 il suo vescovo, Beato Hryhorij Khomysyn, gli conferì la consacrazione episcopale
quale coadiutore con diritto di successione nell’Eparchia di Stanislaviv nel qual caso egli fosse stato arrestato dai bolscevichi.
Questa ordinazione fu provvidenziale, in quanto il Khomysyn morì già il 28 dicembre dello stesso anno nell’ospedale del carcere di Lukianivska a Kiev.
Il suo novello coadiutore non poté però succedergli immediatamente, poiché imprigionato ancor prima che il vescovo morisse, il 2 giugno, e deportato nel campo di lavoro di Vorkuta in Russia e poi dal 1950 nel campo di lavoro di Mordovia, sempre in Russia.
Il 15 novembre 1954 fu finalmente liberato e poté far ritorno e prendere possesso della sua sede episcopale. Fu poi arrestato una seconda volta nel 1962 e condannato a cinque anni di regime duro in prigione.
Fu nuovamente rilasciato il 30 novembre 1968, ma continuò ad essere regolarmente convocato dal KGB per delle “conversazioni”, l’ultima delle quali ebbe luogo due settimane prima della sua morte.
Nonostante questa condizione di clandestinità in cui si trovava la Chiesa Greco-Cattolica Ucraina, costretta a convivere con un regime dispotico ostile a Dio, Ivan Slezyuk continuò ad esercitare senza sosta il proprio ministero presso i fedeli di Rito bizantino, testimoniando Cristo fermamente e senza paura dinanzi ai persecutori della fede.
Morì infine presso Stanislaviv il 2 dicembre 1973 e fu beatificato da Giovanni Paolo II il 27 giugno 2001, insieme con altre 24 vittime del regime sovietico di nazionalità ucraina.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni Slezyuk, pregate per noi.

*Beato Giovanni di Ruysbroeck - Canonico Regolare (2 dicembre)

Ruysbroeck, Belgio, 1293 – Groenendael, Belgio, 2 dicembre 1381
Nato nel 1293 a Ruysbroeck, nei pressi di Bruxelles, Giovanni è uno dei maggiori mistici fiamminghi.
Ordinato prete nel 1317, fu cappellano della cattedrale di Bruxelles.
Nel 1343 si ritirò con due compagni nel bosco di Groenendael, vicino Waterloo.
Molti si unirono e dal romitaggio sorse una comunità di canonici regolari, di cui Giovanni fu priore.
Morì nel 1381 ed è Beato dal 1903. Le sue opere furono così note, da meritargli i soprannomi "doctor divinus" e "secondo Dionigi". (Avvenire)
Martirologio Romano: Nel monastero di Groenendaal nei pressi di Bruxelles in Belgio, Beato Giovanni Ruysbroeck, sacerdote e canonico regolare, che espose insegnamenti mirabili sui vari gradi della vita spirituale.
La dottrina ascetico-mistica del Beato Giovanni di Ruysbroeck è assai più conosciuta rispetto alla sua vita. I suoi undici libri o trattati e le sue lettere sono stati infatti tramandati in numerosi manoscritti, oltre duecento, anche se non tutti della medesima qualità. Sulla sua vita, invece, assai
poco è il materiale biografico storicamente attendibile: nessun diario, nessuna autobiografia, ma solamente tre testimonianze contemporanee ed una Vita scritta in latino verso il 1420 dal canonico Henricus Pomerius.
Questi compose la vita del primo priore di Groenendael per inserirla nella sua opera “De origine monasterii Viridisvallis”, databile tra il 1414 e il 1421, senza però intendere presentarne un profilo storico.
Il suo lavoro infatti seguì lo stile agiografico medievale usato per raccontare la vita dei santi, in cui il protagonista è l’uomo perfetto sin dall’infanzia. In giovane età si ritira dal mondo e passa le sue giornate immerso nella contemplazione divina. Non avendo però conosciuto di persona il santo priore, non gli restò che servirsi del materiale fornitogli da due anziani confratelli.
L’opera agiografica di Pomerius contribuì a diffondere l’immagine di un santo “estatico”, autore di libri con una dottrina esposta sotto l’illuminazione dello Spirito Santo, che raggiunge talvolta punte di sublimità, con pagine che riecheggiano esperienze di intima vita con Dio Trinità, con Cristo Incarnato e presente nell’Eucaristia.
Giovanni nacque nel 1293 a Ruysbroeck, paesino nella valle della Senna, a sud di Bruxelles. Nulla sappiamo del padre, le fonti antiche parlano soltanto della madre e di uno zio, Giovanni Hinckaert, ricco cappellano della chiesa principale di Bruxelles, dedicata a Santa Gudula.
Questi nel 1304 accolse il nipote per fargli frequentare la scuola capitolare, ove Giovanni apprese la lingua latina e studiò per quattro anni grammatica, retorica e dialettica. Appena sedicenne, Giovanni si sarebbe subito consacrato al Signore con la sola ricerca della scienza divina. Ma forse questa informazione non va presa letteralmente, in quanto il biografo intende presentare il santo come colui che non necessita di una lunga formazione umana. Non va perciò escluso anche per Giovanni l’impegno di altri anni di studio, per giungere ad una buona formazione teologica, culturale ed umana.
In effetti, però, non risulta che egli abbia frequentato l’Università di Parigi o di Colonia, come molti altri suoi contemporanei, e di conseguenza non conseguì alcun titolo accademico superiore. Egli ostentò comunque un elevato livello culturale: nelle sue opere figurano lunghe traduzioni di testi latini, impensabili senza un’approfondita conoscenza della lingua, forse frutto di studi privati. Probabilmente la stessa scuola capitolare di Bruxelles, in conformità alle disposizioni del III Concilio Lateranense del 1179, si era dotata di un “magister” per la formazione degli aspiranti al sacerdozio.
Il Ruysbroeck ricevette l’ordinazione presbiterale nel 1317, ormai orfano, ma continuava a sentire la madre spiritualmente presente e sua guida nella missione sacerdotale. Per ben venticinque anni fu cappellano a Santa Gudula, ove quotidianamente celebrava l’Eucaristia, partecipava all’Ufficio corale, predicava, catechizzava, si prendeva cura delle persone bisognose di consiglio. Nei Paesi Bassi dilagavano le idee eretiche dei movimenti del “Libero spirito”, dalle quali occorreva porre in guardia gli ignari fedeli che rischiavano di cadere in preda alla confusione ed al disorientamento. Nacquero così nei suoi scritti spirituali importanti passi per controbattere le teorie dei “falsi mistici”, forse anche su richiesta di alcuni suoi amici e figli spirituali.
Queste nuove dottrine da combattere erano contenute negli scritti di una beghina di Bruxelles, Heilwtg Bloemaerts, meglio conosciuta come Bloemardina, ma purtroppo nessuna fonte ha tramandato nulla di certo circa tali scritti. Forse però questi non sono mai esistiti, in quanto Giovanni mai citò la Bloemardina nei suoi libri, neppure indirettamente.
Pare dunque probabile che Pomerius si sia confuso con Margarete Porete, morta sul rogo nel 1310: del suo scritto “Speculum simplicium animarum” (Specchio delle anime semplici) circolavano infatti copie nei beghinaggi e la sua peregrina dottrina era assai stimata negli ambienti del “Libero spirito”. Giovanni, che frequentava il beghinaggio di Bruxelles, sembra aver conosciuto e anche letto lo “Speculum della Porete”.
Infatti nel suo “Splendore delle Nozze spirituali” si trovano tre capitoli in cui egli espone gli errori, prendendo dura posizione contro chi sosteneva una vita spirituale in assoluta passività: “Costoro credono di essere dei contemplativi; anzi i più santi che ci sono al mondo, invece la via che seguono è totalmente contraria a Dio, ai santi e a tutti i buoni”.
Nei venticinque anni di fedele servizio alla chiesa di Santa Gudula, Giovanni fu sempre semplice cappellano, vivendo ritirato, dedicandosi all’apostolato sacerdotale e componendo ben cinque trattati spirituali. Lo zio, prete mondano ed immerso in molte faccende, nel 1327 si convertì in seguito a una grazia interiore. Si ritirò nella sua casa insieme con Giovanni ed una altro canonico di Santa Gudula, Franco van Coudenberghe.
Il rimanere a Bruxelles comportava però per loro il rischio di non poter svincolarsi del tutto da una società clericale di cui vedevano e comprendevano in pieno i difetti e la decadenza morale. Con la testimonianza della vita, con la predicazione, e Giovanni anche con gli scritti, essi avevano accusato il clero della loro Chiesa locale, criticando l’insoddisfacente situazione della diocesi ed auspicando un rinnovamento morale e sociale. Ciò senza dubbio creò loro nemici ed oppositori, quindi dovettero abbandonare Santa Gudula e cercare un altro posto.
La scelta di Groenendael pare fu dovuta ai buoni rapporti di Franco van Coudenberghe con il duca Giovanni III di Brabante. Sin dal 1304 vi esisteva un eremitaggio, poi abbandonato. Il 16 aprile 1343 i tre sacerdoti presero possesso della nuova abitazione ed del terreno circostante. Il duca Giovanni III aveva posto quale condizione di costruirvi una casa per almeno cinque persone, tra cui dei sacerdoti, che s’impegnassero a “celebrare l’Ufficio divino per la lode, la gloria e l’onore dell' Onnipotente Dio, della gloriosa Vergine e di tutti i santi”.
In tal modo il duca voleva assicurarsi i suffragi per l’anima della sua sposa, Maria d’Evreux, morta nel 1335. L’impegno di celebrare la lode divina corrispondeva pienamente alle intenzioni dei tre preti.
Questi non si proponevano una fondazione di tipo monastico, non sentendo il bisogno di avere un superiore, una Regola ed obblighi fissi sigillati con i voti religiosi. Bastava invece loro costruire una cappella, che nel 1345 venne benedetta dal vescovo ausiliare di Cambrat. Franco van Coudenberghe fu nominato parroco. Passarono in tal modo i primi anni e la piccola comunità continuò a vivere con maggiore intensità la vita liturgica iniziata a Bruxelles.
Il loro singolare rifiuto di una forma di consacrazione già determinata dalla Chiesa, era determinato principalmente dal loro desiderio di restare “canonici”, sacerdoti e cantori della lode di Dio. Per mettere a tacere le mormorazioni contro di loro, Franco van Coudenberghe si recò a Cambrai per sottoporre la situazione al giudizio del vescovo. Questi volle fare una visita pastorale a Groenendael, ove decise di trasformare il gruppo in Ordine religioso, sotto la Regola di Sant’Agostino.
Il 10 marzo 1350, infatti, Franco e Giovanni ricevettero l’abito dei Canonici Regolari dalle mani del vescovo, con l’obbligo di professare la Regola agostiniana. L’anziano Giovanni Hinckaert, zio del beato, fu esentato, in quanto la sua fragile salute e l’età avanzata non gli avrebbero permesso di condurre la vita austera del religioso. Dopo la vestizione dei fondatori, il vescovo nominò Franco prevosto della comunità, con la piena autorizzazione di ricevere candidati e nuovi confratelli, e Giovanni quale priore.
L’aver accettato sotto ispirazione divina lo stato religioso garantì la sopravvivenza della comunità dopo la morte dei fondatori, infatti da subito si accolsero nuovi aspiranti, ed inoltre permise di erigere a Groenendael un Capitolo di Canonici Regolari, potenziale tessitore di rapporti di reciproca stima con il Capitolo secolare dei canonici di Santa Gudula, facendo così tacere ogni mormorazione. Inoltre, nel 1360 nacque la tradizione che i canonici del Capitolo minore di Bruxelles, di cui Franco van Coudenberghe aveva fatto parte, si recassero ogni anno a Groenendael per cantare insieme la messa e trovarsi poi nel refettorio del monastero per l’agape fraterna.
A Groenendael Giovanni proseguì la sua attività letteraria, scrivendo “sotto l’ispirazione dello Spirito Santo”, come fu convinzione dei contemporanei e confratelli che lo circondavano di sincera ammirazione. L’immagine rimasta impressa nella loro memoria fu incentrata infatti su due qualità: “sanctus”, per il carattere vissuto della sua dottrina mistica di incomparabile sublimità, ed “inspiratus”, per l’influsso divino con il quale si cercò di spiegare il suo insegnamento difficile, per molti addirittura “oscuro”.
Per quasi quarant’anni Giovanni fu direttore spirituale, educatore e guida dei confratelli più giovani. Anche i certosini di Hérinnes subirono l’influsso del “santo priore” di Groenendael, ma egli rifiutò la proposta di aderire al loro Ordine per rimanere fedele ai suoi impegni di Canonico Regolare.
Gli ultimi anni di Giovanni trascorsero tranquilli, con una profonda vita di preghiera contemplativa. La sua profonda devozione eucaristica lo portava a celebrare la messa con grande raccoglimento, quasi estaticamente. Ciò fu segnalato al prevosto, con il suggerimento di proibirgli la celebrazione della messa. Ma tutta la sua gioia, tutta la sua felicità, tutta la forza della sua lunga vita era sempre stata l’Eucaristia, ed egli spiegava così i lunghi periodi di raccoglimento in cui talvolta cadeva: “Dio si ricorda di me.
Nostro Signore, egli stesso è venuto e si è manifestato a me”. Implorò dunque il superiore di non proibirgli “la celebrazione della messa, nella quale Nostro Signore viene e si fa vedere a me, riempie il mio cuore di gioia e di allegrezza. No, il non dire messa sarebbe troppo penoso per me”.
Giovanni di Ruysbroeck morì il 2 dicembre 1381, dopo circa due settimane di grave malattia, assistito sino all’ultimo momento dai confratelli e dai discepoli, tra i quali un sacerdote amico esperto di medicina.
Giovanni aveva 89 anni di età e ben 64 di sacerdozio. La sua beatificazione giunse solo nel 1903 e, nonostante le sue opere gli abbiano meritato i soprannomi di “doctor divinus” e “secondo Dionigi”, è ancor oggi in attesa di canonizzazione.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Giovanni di Buysbroeck, pregate per noi.

*Beata Maria Angela Astorch - Clarissa Cappuccina (2 dicembre)

Barcellona, 1 settembre 1592 - Murcia, 2 dicembre 1665
Martirologio Romano: A Murcia in Spagna, Beata Mariangela Astorch, badessa dell’Ordine delle Clarisse, che, donna di grande umiltà e dedita alla penitenza, offriva tanto alle monache quanto ai laici benigno conforto e consiglio.
Girolama Maria Agnese nasce a Barcellona il 1° settembre 1592, ultima di quattro figli, da don Cristoforo Astorch e donna Caterina.
Orfana di madre a 10 mesi, fu affidata ad una nutrice e all'età di cinque anni a seguito della morte
del padre venne affidata a dei parenti che la fecero studiare, imparò quindi a leggere e a scrivere e i lavori femminili.
Era molto appassionata di libri, in particolari quelli in latino.
All'età di undici anni entrò in clausura dove ricevette il nome di Maria Angela.
Erano già clarisse cappuccine insieme alla fondatrice Angela Serafina Prat, la sorella Isabella.
La maestra suor Vittoria era molto rigida e di modi poco affabili, vietò a Maria Angela di leggere i libri latini.
Dopo un'attesa cinque anni come aspirante, dovuta alla giovane età, venne ammessa al noviziato il 7 settembre 1608, dopo un anno fece la professione solenne.
Nel 1614 insieme ad altre cinque suore fu inviata a Saragozza per fondare un nuovo convento, Maria Angela ebbe l'incarico di maestre delle novizie.
Nel 1627 divenne badessa, proprio in questo periodo papa Urbano VIII approvò le costituzioni delle cappuccine spagnole.
Anche se badessa era sempre pronta a fare qualsiasi lavoro, non si risparmiava e si vedeva spesso in cucina, in lavanderia, nell'orto e ad assistere le ammalate in infermeria.
Rimase sempre responsabile delle cerimonie.
Le elemosine del monastero erano sempre divise con i poveri ed in occasione dell'arrivo in città dei profughi della Catalogna distribuì loro i vestiti delle novizie.
Il suo desiderio di propagare l'ordine la portò nel 1645 a lasciare Saragozza per intraprendere insieme ad cinque sorelle, la nuova avventura di fondare un altro monastero, questa volta a Murcia.  In questo nuovo monastero Maria Angela riuscì ad introdurre la pratica della eucaristia quotidiana per le monache.
Non mancarono ovviamente i momenti di sconforto, in particolare durante la peste, nel 1648, anche se le suore furono preservate, e durante le periodiche inondazioni che il fiume Segura provocò a Murcia.
Le suore durante l'evento del 1651 dovettero abbandonare il monastero per circa un anno, in attesa dei restauri dimorarono in una residenza estiva dei padri gesuiti.
Rimase badessa fino al compimento del settantesimo anno di età, quindi essendo inabile ai lavori poté dedicarsi esclusivamente alla vita contemplativa.
Il 2 dicembre 1665 a 75 anni cantando il Pange Lingua terminava il suo viaggio terreno. Il suo corpo incorrotto, profanato durante la guerra civile spagnola, è conservato nel monastero di Murcia.
Giovanni Paolo II ha dichiarato Maria Angela Astorch Beata il 23 maggio 1982.
(Autore: Carmelo Randello – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Mariangela Astorch, pregate per noi.

*Sant'Odorisio I (Oderisio) di Montecassino - Abate (2 dicembre)

m. Montecassino, 2 dicembre 1105
Nel centro antico e storico di Napoli, zona di primissimo interesse artistico e archeologico e per questo dichiarata dall’UNESCO patrimonio dell’umanità, in un vicolo stretto, alle spalle dei grandi complessi basilicali, vi è la Cappella Sansevero.
Inizialmente nel 1500 cappella votiva, poi nel 1750 diventa cappella sepolcrale dei principi di Sansevero dei Marsi e di Sangro, ad opera del munifico, sapiente, scienziato e misterioso Raimondo de Sangro, principe di Sansevero.
In questa cappella, concentrato di opere scultoree e architettoniche famose in tutta Europa, sono effigiati nella volta i sei santi discendenti da questo antico casato principesco: Randisio, Berardo cardinale, Berardo vescovo, Rosalia, Filippa, e Odorisio.
Di Sant’ Odorisio benedettino, vi è inoltre un magnifico altare a lui dedicato, con una statua realizzata dallo scultore Francesco Queirolo, che lo raffigura in mistico atteggiamento, inginocchiato su un cuscino di porfido, con accanto il cappello cardinalizio.
S. Odorisio conte dei Marsi, creato cardinale diacono della Chiesa da Papa Alessandro II, divenne nel 1087, 39° abate del monastero benedettino di Montecassino; emulo del grande abate Desiderio suo predecessore, ne proseguì i lavori artistici per l’abbazia, dimostrò zelo e favore per i crociati che accolse a Montecassino, appoggiandoli con lettere inviate all’imperatore Alessio di Costantinopoli.
Ebbe una grande pietà per i defunti, stabilì che dopo la morte di ciascun monaco, al suo posto per trenta giorni, venisse alimentato un povero, usanza ancora vigente, come è raccontato in un testo del 1977. Poi vi è tutta una serie di preghiere e canti di salmi in suffragio dei defunti, che stabilì per la comunità cassinese, da recitare ogni giorno ed ogni venerdì la celebrazione di una S. Messa.
Con il suo governo terminò l’XI secolo che aveva visto il massimo splendore di Montecassino, pur continuando la terribile lotta contro l’invasione musulmana. Morì e fu sepolto a Montecassino il 2 dicembre 1105.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Sant'Odorisio di Montecassino, pregate per noi.

*San Pimenio di Roma - Martire (2 dicembre)

Martirologio Romano: Sempre a Roma nel cimitero di Ponziano sulla via Portuense, San Pimenio, sacerdote e martire.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Pimenio di Roma, pregate per noi.

*Beato Raffaele Chylinski - Francescano (2 dicembre)

Poznan, Polonia, 1694 - Lagiewniki, Polonia, 2 dicembre 1741
Martirologio Romano: In località Logiewniki in Polonia, Beato Raffaele (Melchiorre) Chylinski, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, che a Cracovia durante la pestilenza visitava i malati per assisterli piamente e prepararli a una onorevole e cristiana morte.
Grazie ad un miracolo attribuito alla sua intercessione ed approvato il 22 gennaio 1991, è stato beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 9 giugno 1991 a Varsavia, durante il suo viaggio apostolico in
Polonia.
Melchiorre Chylinski nacque a Wysoczko l’8 gennaio 1694 nel distretto di Poznan in Polonia, crebbe in ambiente sano e pio e terminati gli studi nelle scuole della sua città, abbracciò la vita militare divenendo ufficiale-alfiere, ma durò poco; ubbidendo alla chiamata di Dio che sentiva dentro di sé, a 21 anni si recò a Cracovia ed entrò nell’Ordine dei Frati Minori Conventuali e il 4 aprile 1715, ricevé l’abito da chierico cambiando il nome in Raffaele.
Terminato il noviziato fece la professione solenne e nel dicembre 1717 fu ordinato sacerdote.
Fu frate conventuale di rara spiritualità, svolse il suo apostolato in vari conventi dell’Ordine specialmente a Cracovia e Lagiewniki, circondato da fama di santità.
Morì fra il rimpianto unanime dei confratelli a Lagiewniki il 2 dicembre 1741 a 47 anni circa.
Il 29 agosto 1772, fu introdotta la causa di beatificazione dalla diocesi di Varsavia e si ebbe il decreto sulle virtù il 13 maggio 1949.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Raffaele Chylinski, pregate per noi.

*San Roberto di Matallana - Abate cistercense (2 dicembre)

Borgogna ? – Matallana (Valladolid), Spagna, 1185
L’Ordine Cistercense lo celebra il 2 dicembre, ed i storici dell’Ordine ne hanno tramandato alcune notizie piuttosto scarse.
Non si sa quando nacque, ma nel 1175 egli era già un monaco cistercense del monastero di La Creste nella Borgogna; regione storica della Francia, che fu sede delle riforme monastiche dei Cluniacensi e dei Cistercensi.
Appunto nel 1175 lasciò il suo monastero con alcuni monaci e andò a fondarne uno nuovo a Matallana a circa 25 km dall’odierna Valladolid in Spagna, ponendolo sotto la protezione del re Alfonso VIII di Castiglia (1155-1214) detto Il Nobile.
Ignoriamo quanto visse, ma morì dieci anni dopo il suo giungere a Matallana, nel 1185 e le sue spoglie furono deposte come reliquie nell’altare maggiore della chiesa del monastero, fatta costruire con grande munificenza dalla regina Beatrice moglie del re San Ferdinando III di Castiglia (1199-1252) e della badessa del monastero di Las Huelgas (Burgos), donna Berenguela.
Detta deposizione è certamente la testimonianza di una vita, oltre che di fondatore, che in quei tempi era già un titolo di santità, anche di uomo di Dio e degno abate e guida dei suoi monaci cistercensi.
Attualmente le sue reliquie sono venerate nella chiesa parrocchiale di Matallana; si racconta che presso la sua tomba sono avvenuti moti miracoli. É stato invocato come protettore contro le calamità delle campagne, in particolare contro le cavallette.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Roberto di Matallana, pregate per noi.

*San Silverio - 58° Papa e Martire (2 dicembre)

Frosinone ? - † Palmarola (Ponza), 2 dicembre 537
(Papa dall' 01/06/536 all' 11/11/537)
Originario della Campania, si trovò ad affrontare i torbidi inizi della guerra greco-gotica, che si sarebbe protratta per 18 anni. Fatto prigioniero, fu relegato nell'isola di Ponza, dove morì.
Etimologia: Silverio = abitatore delle selve, uomo dei boschi, selvaggio, dal latino
Martirologio Romano: Nell’isola di Palmarola in Liguria, transito di San Silverio, Papa e Martire, che, non avendo voluto ristabilire Antimo, vescovo eretico di Costantinopoli deposto dal suo predecessore Sant’Agapíto, fu per ordine dell’imperatrice Teodora privato della sua sede e mandato in esilio, dove morì dopo molte tribolazioni.
Oriundo di Frosinone, figlio del Papa San Ormisda, salì al soglio pontificio nel giugno 536, ma non fu l’immediato successore del padre, infatti dopo la morte di Sant' Ormisda avvenuta nel 523, vi furono come pontefici San Giovanni I, San Felice III, Bonifacio II, l’antipapa Dioscoro, Giovanni II, Sant' Agapito I, tutti governarono in media 2-3 anni ciascuno.
Alla morte di Sant' Agapito I avvenuta a Costantinopoli il 22 aprile 536, Silverio fu eletto apa, pur essendo suddiacono, per imposizione del re ostrogoto Teodato (534-36); il quale era memore dei buoni rapporti ed intese, intercorsi tra il padre Ormisda e il re Teodorico.
Però buona parte del clero si oppose a questa elezione, accettandola alla fine dopo l’avvenuta consacrazione.
Il suo pontificato fu breve e molto travagliato; venne coinvolto suo malgrado, nelle lotte politiche e religiose che in quegli anni turbarono l’Italia e la Chiesa, infatti era in corso la guerra tra i Bizantini e gli Ostrogoti per il possesso della penisola; inoltre in Oriente continuavano ad esistere gruppi di
monofisiti ostinati, appoggiati dall’imperatrice Teodora.
Si ricorda che il monofisismo, era una dottrina teologica che negava la natura umana di Cristo, affermandone l’unica natura divina; l’eresia, sviluppatosi nel V-VI secolo, fu condannata dal Concilio di Calcedonia nel 451 e determinò il distacco delle Chiese Copta, Armena e Giacobita di Siria.
Qualche mese dopo la sua elezione, il re Teodato suo protettore, fu deposto ed ucciso dai Goti; a dicembre 536 giunse alle porte di Roma, il generale Belisario con le sue milizie e Silverio insieme al Senato, si adoperò perché la città fosse occupata senza combattimenti.
Tre mesi dopo, nel febbraio 537 fu la volta del nuovo re degli Ostrogoti, Vitige a cingere d’assedio Roma con il suo esercito, con vari attacchi per ritornarne in possesso, distruggendo i dintorni compreso i cimiteri cristiani e le chiese.
E fu durante l’assedio degli Ostrogoti che cominciò la tragedia di Silverio; era giunto da Costantinopoli il diacono Vigilio con lettere dell’imperatrice Teodora per Belisario, perché favorisse l’elezione di Vigilio alla cattedra di San Pietro. Il diacono era già stato designato dal Papa Bonifacio II (530-532) a suo successore, incontrando però l’opposizione del clero a questa novità, cioè la designazione invece che un’elezione, quindi non aveva potuto entrare in carica; alla morte di Sant' Agapito I, egli fu di nuovo designato dall’impero bizantino alla carica di Pontefice, ma trovando già eletto Silverio, per la seconda volta egli veniva escluso.
Belisario cercò di non creare drammi e supponendo che all’imperatrice, stesse più a cuore la sorte dei monofisiti, che si pensa, Vigilio le avesse promesso un annullamento delle decisioni del Concilio di Calcedonia, chiese a Silverio di accordare egli stesso ciò che stava a cuore a Teodora, ma il Papa si rifiutò di accondiscendere.
Durante l’assedio degli Ostrogoti, che durò quasi un anno, fu messa in circolazione una presunta lettera di Silverio al re Vitige, nella quale prometteva di aprirgli la porta Asinara presso il Laterano, per consegnargli Roma; Belisario convocò il Papa al suo quartiere generale contestandogli l’accusa che Silverio facilmente smontò, anzi per evitare ulteriori sospetti, lasciò il palazzo del Laterano spostandosi presso la Basilica di Santa Sabina.
Ma il 18-19 marzo ci fu un furioso attacco dei Goti e Silverio fu di nuovo chiamato da Belisario, che spalleggiato da sua moglie Antonina e da Vigilio, mosse altre accuse a Silverio, quindi fu spogliato degli abiti pontificali e vestito di un abito monastico; ai chierici che l’accompagnavano restati in altra stanza, fu detto che non era più Papa e si era fatto monaco.
Al suo posto subentrava Vigilio (537-555), mentre Silverio fu deportato a Patara nella Licia; il Vescovo di Patara si recò a Costantinopoli a protestare presso l’imperatore Giustiniano, dicendo che nel mondo vi erano molti re ed un solo Papa e questi era stato scacciato dalla sua sede.
Giustiniano, vincendo le resistenze di Teodora, rimandò a Roma Silverio, con l’ordine che si riesaminassero le presunte lettere e l’intera questione e se fosse risultato innocente, reintegrato come Papa; Vigilio impaurito dall’inaspettato ritorno, convinse Belisario di deportarlo nell’isola Palmaria (Ponza); qui Papa Silverio, per porre fine allo scisma che si era creato, abdicò l’ 11 novembre 537 e consunto dagli stenti e dalla fame, morì Martire il 2 dicembre successivo.
Il suo corpo, contrariamente a quelli di altri Papi morti in esilio, non fu trasferito a Roma, rimanendo nell’isola; il suo sepolcro divenne centro di guarigioni e miracoli e quindi meta di pellegrinaggi.
Notizie del culto tributatogli a Roma sono documentate solo qualche secolo più tardi a partire dall’XI.
I due Santi Pontefici, Ormisda e Silverio, padre e figlio nella vita, sono i patroni della città di Frosinone, di cui erano nativi.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Silverio, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (2 dicembre)

*San
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